Evitare le proprie emozioni: quando la corazza diventa una gabbia

Evitare le proprie emozioni: quando la corazza diventa una gabbia

Davanloo definisce la difesa come “qualsiasi meccanismo utilizzato per evitare la vera emozione”. Nella ISTDP le difese sono considerate una componente chiave del conflitto psicodinamico e corrispondono all’angolo superiore sinistro “difesa (D)” del triangolo del conflitto di Malan. Sono centrali nell’ISTDP perché i sintomi e le difficoltà relazionali che i pazienti presentano sono causati da difese disadattive, e la funzione della terapia è proprio quella di aiutare i pazienti a rinunciare all’uso di queste difese distruttive.

Sebbene l’evitamento delle emozioni sia lo scopo ultimo di tutte le difese, queste possono avere anche altre funzioni. Alcune difese si concentrano sulle relazioni con gli altri (in particolare l’evitamento della vicinanza emotiva), mentre altre si concentrano maggiormente sulla relazione con se stessi (in particolare il bisogno di auto sabotaggio).

In tutti questi casi, le difese sono risposte evitanti innescate dall’ansia. Ad esempio, la tristezza può scatenare l’ansia in un paziente, che eviterà tale tristezza provando risentimento, soffrendo di mal di testa, preoccupandosi, abusando di sostanze, tenendosi occupato, mangiando, arrivando in ritardo alla terapia, parlando di qualcos’altro che sa interessare particolarmente il terapeuta, e così via. Nella terminologia psicodinamica classica, la riduzione dell’ansia attraverso l’evitamento delle emozioni o di situazioni ansiogene viene definita “guadagno primario” delle difese.

Le difese sono un problema nella misura in cui hanno costi significativi – conseguenze negative – nel qual caso l’evitamento è un problema più grande di ciò che viene evitato. Quando questo è vero, l’evitamento si traduce in un sollievo a breve termine a scapito di una distruttività a lungo termine.

Oltre al guadagno primario di evitare qualcosa che provoca ansia, una serie di altri fattori (che rappresentano il cosiddetto “guadagno secondario”) può contribuire a mantenere le difese in posizione. Per esempio, un paziente può ritenere che essere una “brava persona” passiva sia una parte necessaria/desiderabile della sua identità (cioè, la difesa è ego sintonica).

Davanloo descrive un continuum con comportamenti o attività difensive individuali (che Davanloo chiama difese tattiche) a un’estremità, e meccanismi di difesa (che chiama difese maggiori) all’altra. Se le difese tattiche sono pezzi di melodia sinfonica, le difese maggiori sono le chiavi in cui è scritta la sinfonia.

I terapeuti che adottano l’approccio diretto alla resistenza dell’ISTDP devono prestare attenzione, momento per momento, al conflitto psicodinamico, come rappresentato nel triangolo del conflitto di Malan. Devono essere in grado di identificare, chiarire e sfidare specifici comportamenti difensivi. Queste difese tattiche servono in particolare a tenere il terapeuta a distanza e, se ci riescono, la terapia non può essere efficace. I pazienti utilizzano un’ampia varietà di difese tattiche, ma ogni paziente ha una serie di difese di carattere, acquisite durante lo sviluppo, a cui ricorre abitualmente, soprattutto quando l’ansia aumenta. Sono soprattutto le difese di carattere a creare molte delle difficoltà continue dei pazienti; nella metafora della sinfonia, sono temi che ritornano continuamente.

All’altra estremità del continuum si trova un numero relativamente piccolo di meccanismi di difesa, come la rimozione e la proiezione.

Nel dettaglio, quali sono le tipologie di difese secondo la ISTDP?

DIFESA DI CARATTERE

Per Davanloo, l’espressione “difese caratteriali” (o “difese caratteriali”) si riferisce all’insieme di caratteristiche che il paziente tende a mettere in atto abitualmente come modo caratteristico di affrontare la vita e soprattutto le altre persone. Sono “abituali, rigidamente fissate e di solito ego sintoniche”. Tra gli esempi vi sono la sfida, il parlare, l’impotenza, il sarcasmo, l’autocritica, la passività, e molti altri.

Affinché i pazienti rinuncino all’uso delle difese caratteriali, devono capire che i costi attuali delle difese superano i loro benefici. È importante tenere in considerazione il fatto che queste abitudini difensive acquisite con lo sviluppo possono essere state un tempo il miglior adattamento disponibile a una situazione difficile. Tuttavia, nel fare ciò è importante ricordare che i pazienti si attaccano alle difese distruttive non semplicemente per “abitudine”, ma per un bisogno di auto sabotaggio guidato dal senso di colpa, che non può essere superato solo con la persuasione.

DIFESA TATTICA

Davanloo usa il termine “difesa tattica” per descrivere comportamenti o attività difensive individuali. Ad esempio, non appena il terapeuta esercita pressione i pazienti iniziano a usare difese tattiche, come la vaghezza o il cambio di argomento (diversione/deviazione).

Proprio come le vie di scarico dell’ansia inconscia ci permettono di osservare momento per momento l’esperienza di ansia dei pazienti durante una seduta, la comprensione delle difese tattiche ci fornisce una visione più accurata delle difese di cui abbiamo bisogno per rendere praticabile la tecnica di Davanloo di sfida (challenge) alla resistenza. Davanloo contrappone le difese tattiche ai meccanismi di difesa generali della psicologia dell’ego, che chiama “difese maggiori (o principali?)”. Tuttavia, avverte che è impossibile tracciare una linea netta tra le difese tattiche e le difese maggiori.

DIFESA MAGGIORE

Le difese maggiori corrispondono a meccanismi di difesa psicodinamici generali, in contrapposizione alle difese tattiche, che descrivono comportamenti difensivi. Sono chiamate difese maggiori per il loro ruolo di protezione delle emozioni complesse verso le figure primarie di attaccamento che sono alla base del sistema distruttivo dei pazienti. Davanloo cita la proiezione, la rimozione, la somatizzazione e la negazione come esempi di difese maggiori.

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