La somatizzazione: quando il corpo urla ciò che la mente non riesce a dire

La somatizzazione: quando il corpo urla ciò che la mente non riesce a dire

In ISTDP, la somatizzazione fa parte delle cosiddette “difese maggiori”. Ovvero quelle che, secondo Davanloo, corrispondono a meccanismi di difesa psicodinamici generali, in contrapposizione alle difese tattiche, che descrivono comportamenti difensivi. Sono chiamate difese maggiori per il loro ruolo di protezione delle emozioni complesse verso le figure primarie di attaccamento che sono alla base del sistema distruttivo dei pazienti.

Per comprendere al meglio la somatizzazione, le sue manifestazioni e i percorsi terapeutici che lo psicoterapeuta può prendere in considerazione per farne fronte, verranno presentati due esempi di due pazienti diversi.

Un uomo di 42 anni va in terapia lamentando fatica e dolori cronici, o fibromialgia, che ha causato un’assenza dal lavoro di un anno.

Una donna di 30 anni, invece, presenta un intenso reflusso gastrico e problemi di colon irritabile, accompagnati da depressione, che da due anni hanno impedito una continuità lavorativa, obbligandola a rimanere a casa.

Il primo, A., mentre è in studio, appare teso e tiene le mani ben serrate sulla sedia. La seconda, G., invece appare più calma e non mostra segnali di ansia.

Entrambi i pazienti, sebbene molto differenti, condividono una problematica comune: la somatizzazione. Significa che, senza rendersene conto, tendono ad evitare le proprie emozioni e la vicinanza emotiva sostituendoli con la manifestazione di sintomi fisici.

Quindi cos’è la somatizzazione?

Potremmo definire la somatizzazione come una sorta di incapacità ad utilizzare le difese: laddove sorge una significativa ansia dovuta a emozioni o conflitti inconsci, questa prende la forma di sintomi fisici.  Entrambi i pazienti hanno riportato frequenti visite in ospedali e da diversi specialisti, senza alcuna risposta o diagnosi medica. Difatti, nonostante non venga riconosciuto nella pratica, una larga fetta delle visite dal proprio medico di base o da specialisti può essere spiegata con la somatizzazione. Le persone che soffrono di somatizzazione riferiscono di iter medici interminabili e frustranti che, oltre ad un carico economico importante, portano alla frustrazione di non riuscire a trovare una spiegazione ai propri sintomi. Si aggiunga a ciò che medici e famigliari, quando parlano di somatizzazione, spesso lasciano nei pazienti la sensazione che essi siano in qualche modo considerati colpevoli del proprio malessere o che, peggio ancora, esso non esista veramente; che sia un malanno immaginario.

Ansia e somatizzazione

La somatizzazione segue percorsi differenti che corrispondono alle tre principali vie di scarica dell’ansia

  1. La tensione nella muscolatura striata si manifesta con mani che si stringono, sospiri e iperventilazione di cui il paziente non è consapevole. Questi pazienti possono riferire di attacchi di panico, dolore al petto e fibromialgia.
  2. I pazienti che invece manifestano tensione a livello del sistema nervoso autonomo riportano sintomi gastrointestinali, emicrania, ipertensione, minzione frequente e sintomi assimilabili all’asma.
  3. La tensione scaricata a livello del sistema cognitivo percettivo, infine, si manifesta spesso con sintomi somatici quali la visione offuscata, confusione mentale, perdita di memoria, parestesie e svenimenti.

Tornando ai nostri due pazienti, quale potrebbe essere un ipotetico percorso terapeutico?

A. mostra segnali di tensione visibili dal terapeuta. Ciò può essere spiegato dal fatto che presenta ansia principalmente sulla muscolatura striata, che rappresenta un semaforo verde per il terapeuta, un via libera ad esplorare emozioni,  sintomi e ansia, del paziente. Per riuscire a risolvere la sintomatologia fisica, è necessario che A. faccia ripetutamente esperienza delle proprie emozioni fino ad oggi sepolte e coinvolte nei suoi conflitti inconsci. Un’analisi più profonda delle sue emozioni potrà portare all’emergere di vissuti di dolore emotivo, rabbia, colpa legata alla rabbia e perfino di amore non sentito. Potrà inoltre aiutarlo ad essere consapevole della propria ansia, fino a quel momento inconsapevole. Riuscire a rendere il paziente consapevole della propria tensione è fondamentale, in quanto questa viene sostituita con il sintomo fisico. Dal momento in cui il terapeuta riesca ad aiutare il paziente ad esperire le emozioni inconsce, non vi sarà più bisogno di celarle con i sintomi fisici e con tensione muscolare. Come è tipico dei pazienti con ansia prevalentemente nel muscolo striata, nonostante mostri un’evidente ansia durante il colloquio, egli negherà di essere nervoso. Negherà l’ansia perché non la vede e non la sente, e al posto dell’ansia proverà dolore fisico, nel suo caso la fibromialgia. Con 10 sedute di trattamento incentrate su questo processo, la fibromialgia di A. si è risolta; è tornato al lavoro e non ha più avuto bisogno di antidepressivi.

Il secondo caso riguarda la paziente G. con problematiche gastrointestinali. Nel suo caso, non vi erano chiare manifestazioni di ansia in studio, ma, al contrario, appariva calma e priva di tensione. È utile che il terapeuta esplori le situazioni e gli eventi che peggiorano i suoi sintomi. In questo modo, gradualmente la donna aumenta la propria tolleranza all’ansia fino a che arriverà a comprendere e a razionalizzare le proprie emozioni invece che lasciare che aggrediscano il suo stomaco. Questa tipologia di paziente non manifesta ansia in studio in quanto la via di scarica prevalente è legata al sistema nervoso autonomo. Non mostra ansia visibile, ma sperimenta sintomi gastrointestinali quando si focalizza su emozioni riguardanti traumi recenti. Si evince da ciò che le emozioni, non essendo esperite direttamente, attivano l’area gastro intestinale. Con 12 sedute di terapia, G. è riuscita a sospendere i farmaci per la sindrome  da colon irritabile, gli ansiolitici e gli antidepressivi.

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